'Non si stampano più le foto come una volta'. Non è solo la lamentazione di chi non riesce a scrollarsi di dosso l'era dell'analogico per passare al digitale: è un dato di fatto. Rispetto alla procedura con ingranditore, bacinelle, liquidi di sviluppo e camera oscura, la stampa digitale (sia essa laser o a getto d'inchiostro) è un processo del tutto diverso. Anche senza entrare nella diatriba su quale sia meglio, discorso che da tempo tiene banco, c'è una caratteristica che differenzia in modo netto le due tecniche. Con la stampa digitale si ottengono copie pressoché identiche, mentre nel caso di quella analogica ogni copia ha una sua storia ed è praticamente un esemplare unico. Si tratta di una caratteristica importante soprattutto quando si entra nell'ambito del mercato dell'arte, dove poter certificare lotti ed esemplari riveste un'importanza rilevante.
In questo contesto alla Maker Faire di Roma abbiamo incontrato Giulio Limongelli, che si autodefinisce una artigiano-fotografo-stampatore. Giulio ha creato un oggetto che cerca di unire in modo coerente i due mondi della fotografia digitale e della stampa fotografica, il Digingranditore, un sistema di stampa diretta per proiezione del file digitale su carta fotosensibile con successivo sviluppo nel tradizionale processo chimico. A partire da un file digitale è possibile utilizzare il processo di stampa tipico della pellicola, passando dall'immagine alla carta fotografica in modo tradizionale. Nel processo lo stampatore può apportare tutte le modifiche che si sono sempre utilizzate, come mascherature e bruciature, ma con quell'artigianalità che ormai si è persa nell'uso attuale della 'camera chiara digitale'.
Naturalmente è un prodotto che non si indirizza a tutti, ma a un pubblico ben preciso, in grado di apprezzare il valore aggiunto di un processo di questo tipo, a partire dall'ottenimento di una serie di pezzi unici.