Dal progetto "CHIMERE"
6- Nelle ricerche antropologiche, ma soprattutto in quelle a tema politico ci si gioca in prima persona: come vivi questo rapporto tra la tua vita e le realtà che incontri e cerchi di raccontare con le immagini?
La fotografia nutre l'irreversibile ambizione di vivermi il mondo personalmente, per conoscerlo e per conoscermi e tornando ogni volta a casa con delle testimonianze fotografiche che rappresentano lo scambio umano che ho cercato sulla mia strada.
L'uomo è al centro delle mie ricerche, e ciò che accomuna le storie che racconto è il mio desiderio di spingermi sui bordi dell'esistenza umana e cercarne una "traducibilità" visiva, che sia emozionale ma soprattutto fedele alla realtà. Non c'è storia che mi interessi se non quelle col presupposto di scendere dalle mie strutture mentali e le mie consapevolezze, fare fotografia mi ha maturato molto.
Prima di tutto questo però, c'è la consapevolezza che fare dell'informazione è una pretesa altissima e che rappresenta una responsabilità che non può impastarsi con le smanie personali. Cerco dunque di investigare nelle storie e restituirle con la massima umiltà e con la consapevolezza che il desiderio di perdermi nel mondo è la diretta conseguenza di quello che faccio. Racconto la vita degli altri e questo, in nessun modo può essere il passaggio che cerco per arrivare dove voglio.
7- Come ti avvicini a realtà molto diverse dalla tua, quali strategie adotti per riuscire ad entrare in relazione con i tuoi soggetti?
Questo è il mio argomento preferito in merito a tutto questo e come ho tentato di spiegare, rappresenta il mio primo scopo. La mia chiave è scendere dalle mie convinzioni e destrutturare ogni mio pregiudizio dato dalla paura e dalla poca conoscenza, aprire il cuore e fidarsi soltanto di questo. Certamente ogni circostanza richiede un codice comportamentale differente, ma credo di aver ormai sviluppato una capacità inconscia di intuire da subito il linguaggio e i dettagli necessari per accedere al dialogo con il prossimo. Su questo argomento sono davvero centrali lo studio del linguaggio del corpo e le diverse tecniche di avvicinamento, ma tutto ciò può soltanto evaporare nel nulla se il presupposto non è l'amore per lo scopo che ci prefiggiamo.
8- Cosa c'è nella tua borsa quando sei sul campo? Quanto conta l'attrezzatura fotografica?
Nei tredici anni dell'esperienza cinematografica ho avuto, come una delle mie mansioni, la responsabilità delle macchine cinematografiche e di tutto ciò che ne consegue, lascio quindi immaginare quale maniacale attenzione pongo sull'argomento.
Detto ciò la prima regola che seguo è quella della semplicità e della leggerezza. Essere agili e meno vistosi possibile fa parte del linguaggio corporeo di cui parlavo in precedenza. Porto con me un buon corpo macchina e un'ottica, massimo due, le consuete schede ed un flash radiocomandato. Nell'alloggio tengo molto altro, ma è tutto materiale atto ad entrare in gioco in caso di guasti o situazioni fotografiche particolari. L'attrezzatura conta, ma come tutti sappiamo è solo una piccolissima parte.