Paolo Marchetti: fotografia alle radici della rabbia

Paolo Marchetti: fotografia alle radici della rabbia

di Roberto Colombo , pubblicato il

“Abbiamo incontrato Paolo Marchetti, fresco vincitore di uno dei Grants for Editorial Photography 2012: grazie alla borsa offerta da Getty Images potrà continuare il suo progetto "FEVER" che va alla ricerca delle radici della rabbia che sta alla base della rinascita dei movimenti di estrema destra in tutta Europa”

Fotografia: una passione fin dall'infanzia

1- Partiamo dagli inizi: raccontaci i tuoi primi passi nel mondo della fotografia. Ricordi ancora la prima foto che hai scattato?

Non ricordo esattamente la prima immagine che realizzai tramite il gesto fotografico ma ho impresso nella memoria la tempesta emotiva che mi travolse durante il mio primo contatto con il racconto documentaristico. Accadde nella redazione di una famosa testata giornalistica italiana dove mio padre lavorava mentre all'età di circa dieci anni, io, aspettando che terminasse il turno, trascorrevo il tempo curiosando negli archivi fotografici.

Quelle che fatalmente mi affascinarono furono le fotografie dell'omicidio di Lee Harvey Oswald, accusato dell'assassinio Kennedy del 1963. Ricordo come fosse ieri lo stupore dato dal senso di verità contenuto in quelle immagini piuttosto che dal fattore estetico o dall'importanza giornalistica. Ero davvero piccolo e non credo che capissi il valore del documento contenuto in quelle fotografie.

Credo di aver fatto la mia prima fotografia da lì a poco e ricordo l'aspetto giocoso del gesto fotografico. Quello che ricordo delle mie prime immagini sono i miei pomeriggi nel cortile del condominio dove vivevo con la mia famiglia.

2- Quando hai deciso che la fotografia sarebbe diventata il tuo lavoro? Come hai cominciato la carriera da professionista?

La mia preparazione fotografica risale a quella cinematografica, ambiente in cui ho lavorato per circa tredici anni, e in cui ho coperto ogni ruolo nel reparto Operatori e assecondato l'operato dei direttori della fotografia italiani e stranieri nei circa 40 film a cui ho partecipato. Negli stessi anni portavo avanti il mio hobby della fotografia statica, accompagnandomi sempre e comunque con agili macchinette ovunque io andassi.

Credo di poter affermare che l'amore per questo tipo di esperienza e di approccio visivo con il reale fosse sempre più quello che preferivo, un amore che col passare del tempo, ha finito definitivamente di superare il fascino di essere materialmente un tassello importante nella realizzazione estetica dei film al cinema. La fotografia ha sempre rappresentato il pretesto per guardarmi intorno ed osservare altro, ma senza estrarmi mai dalla realtà, un approccio differente alla socialità che non comportava però rinunce per quanto riguarda il mio coinvolgimento. Insomma è quasi uno strumento terapeutico per il mio carattere timido e giocoso allo stesso tempo.

La scelta di lasciare un mestiere così affascinante come il cinema per affrontare l'avventura fotogiornalistica, mi è balenata chiaramente in testa quando mi accorsi che lavorando sui set pensavo molto più alle foto che al prossimo film a cui partecipare e che tornare a casa per sfogliare la mia collezione di libri era la cosa che preferivo. Cinque anni fa feci il salto e da subito capii di voler tentare una strada rigorosa con la mia scelta, mi misi a studiare la disciplina del racconto per immagini soffermandomi da subito su l'aspetto etico legato al fotogiornalismo. Inoltre la paura di lasciare un mestiere per un altro mi mise una gran pressione addosso, condizione questa, che si rivelò davvero utile perché mi impegnassi oltre modo.