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Pagina 1 - Introduzione Questa guida è la terza di cinque puntate, pensate come supporto agli utenti che si addentrano per le prime volte nel mondo della fotografia digitale. A questi indirizzi potete trovare la prima e la seconda puntata di questa guida, che vogliono essere un aiuto per chi deve scegliere la prima fotocamera, e per chi si avvicina per la prima colta al concetto di inquadratura. Nelle prossime settimane seguiranno altri articoli con diversi temi:
Fotografare significa scrivere con la luce, essa è l’elemento caratterizzante la fotografia. Si può avere una predisposizione naturale nel comporre inquadrature e chi la possiede è di certo fortunato, risparmia metà del lavoro; purtroppo non si può nascere con il dono dell’esposizione. Esporre correttamente significa valutare la giusta quantità di luce che deve impressionare la pellicola/sensore per ottenere la più fedele riproduzione della situazione reale senza bruciare le alte luci e senza annerire le basse luci. Si cercherà in questo tutorial di introdurre i concetti necessari in maniera sequenziale, di modo che il livello tecnico sia via via crescente e permetta anche ai neofiti di ottenere un quadro completo che abbia una consequenzialità logica. Agli albori della fotografia le fotocamere erano delle camere stenoscopiche in miniatura: scatole di legno completamente sigillate tranne che per un foro su di un lato, il quale permetteva il passaggio della luce; questa ultima colpiva la lastra di vetro e sali d’argento che fungeva da pellicola registrando l’immagine che su essa veniva proiettata.
Quanta luce doveva entrare nella camera per ottenere una esposizione corretta? Né troppo chiara, né troppo scura. Si doveva lavorare per tentativi poiché le lastre di registrazione erano preparate artigianalmente ed ognuna era diversa dalle altre. Il fotografo poteva gestire un unico parametro: il tempo. Il tempo in cui lasciava aperto il foro e permetteva il passaggio della luce. Lasciare aperto il foro per molto tempo significava fare una lunga esposizione ovvero far entrare nella camera più luce. La pellicola rimaneva impressionata maggiormente. Lasciare aperto il foro per poco tempo significava fare una breve esposizione ovvero fare entrare nella camera meno luce. La pellicola rimaneva impressionata di meno. Pagina 2 - L'esposizione Ancora oggi il principio è lo stesso e le moderne reflex utilizzano la tendina dell’otturatore per aprire e chiudere il foro che permette il passaggio della luce; la ghiera di regolazione dei tempi presente su ogni fotocamera regola il tempo per il quale la tendina rimane aperta. I numeri che appaiono sul display o all’interno del mirino sono frazioni di secondo:
La posa bulb permette di tenere aperto l’otturatore fintanto che rimane premuto il pulsante di scatto, è utile con scarsa luminosità o in riprese notturne.
Lo zero è il livello corretto di esposizione, i valori positivi si dicono di sovraesposizione quelli negativi di sottoesposizione; una foto sovresposta sarà più chiara di quella corretta, una foto sottoesposta sarà più scura di quella corretta. Il cursore di riferimento (rosso in questo caso) si sposta lungo la scala fornendo le dovute informazioni. Si verificherà in seguito che l’esposimetro è unicamente un sussidio al fotografo poiché comunica solamente se la quantità di luce è ottimale per la sensibilità che si sta utilizzando, non assicura che la foto rispetti il risultato sperato e voluto! Pagina 3 - La sensibilità ISO Inizialmente si è parlato di lastre di vetro artigianali, di fatto le progenitrici della pellicola come la conosciamo oggi; nel 1871 nasce la prima pellicola su supporto in gelatina e nel 1880 la Kodak su supporto di carta, infine nel 1891 fa la sua comparsa la prima pellicola su celluloide avvolta in rulli. A seconda della composizione e della granulosità del materiale chimico che compone le pellicole, la loro sensibilità alla luce cambia. A parità di luminosità del soggetto pellicole poco sensibili necessiteranno di tempi di esposizioni elevati, mentre pellicole molto sensibili espongono nella stessa maniera in tempi molto brevi; da qui la divisione in pellicole lente, rapide e ultrarapide. A parte il linguaggio comune esiste uno standard detto ISO che è composto da due scale: la scala lineare ASA e la scala logaritmica DIN. Ormai entrate in disuso ci si riferisce genericamente alla sensibilità di una pellicola tramite il termine ISO lineare, lo stesso vale per la sensibilità del sensore delle fotocamere digitali. Le sensibilità più comuni che possiamo trovare sui sensori digitali sono: 50 100 200 400 800 1600 3200 ISO Si dice che una pellicola è lenta se al di sotto dei 64 ISO, si capisce bene quindi che lavorando in digitale è come se si usassero sempre pellicole rapide e ultrarapide. Maggiore è la sensibilità a parità di luce e minori dovranno essere i tempi di esposizione per ottenere lo stesso risultato alle diverse sensibilità.
Queste foto sono state scattate tutte con uguale illuminazione ma a sensibilità differenti, il risultato è pressoché identico e le esposizioni tutte corrette, facciamo alcune osservazioni:
Pagina 4 - Il diaframma La numerazione dei diaframmi è singolare ed è espressa in valori f, ovvero frazioni della lunghezza focale dell’obiettivo che esprimono il diametro del foro attraverso cui passa la luce: un valore f=1,4 su un obiettivo da 50 mm equivale ad un foro del diametro di 50/1,4=35,7 mm, rappresenta un diaframma aperto; mentre un valore f=22 equivale ad un foro del diametro di 2,27mm e rappresenta un diaframma chiuso; ogni obiettivo avrà il suo specifico range di valori f caratterizzati dall’apertura massima, indice della massima luminosità raggiungibile dall’obbiettivo, e dall’apertura minima. A parità di illuminazione e sensibilità esistono diverse combinazioni delle
coppie tempo-diaframma che possono esporre correttamente la stessa scena, un
trucco molto semplice da ricordare è la regola del 16: supponendo di essere in
condizione di luce pari ad una giornata di pieno sole, si esporrà correttamente
utilizzando il diaframma f-16 ed il tempo pari all’inverso della sensibilità
della pellicola/sensore. Ad esempio se utilizzo 100 ISO di sensibilità il suo
inverso è 1/100, il valore di tempo standard che più gli si avvicina è 1/125 di
secondo, la coppia tempo-diaframma corretta è 1/125 a f-16. A partire da questo
valore si può costruire la tabella delle coppie equivalenti ricordando che: il
diaframma esprime il diametro del foro equivalente attraversato dalla luce, ciò
significa che la superficie attraversata dalla luce è pari a pigreco*((Focale/diaframma)/2)
Se le condizioni di luce cambiano, anche le coppie tempo-diaframma si modificheranno facendo entrare più o meno luce a seconda delle necessità; Ogni volta che modifichiamo il tempo oppure il diaframma in maniera da dimezzare o raddoppiare la quantità di luce che entra nella fotocamera si dice che si è effettuato un salto di uno stop: ad esempio se l'esposizione iniziale è 1/125;f-16 si può sottoesporre di uno stop portandosi a 1/200;f-16 oppure sovresporre di uno stop portandosi a 1/60;f-16. Lo stesso discorso vale per i diaframmi: mantenendo il tempo ad 1/125 si sottoespone di uno stop diaframmando ad f-22 oppure si sovrespone di uno stop diaframmando ad f-11 (vedi primo set di foto). I salti di diaframma che permettono di eseguire salti di uno stop l’uno dall’altro sono: 1,4 - 2 - 2,8 – 4 – 5,6 – 8 – 11 – 16 – 22 – 32 ecc. Ma allora, se esistono più coppie tempo-diaframma che espongono correttamente la stessa scena, quale è la scelta migliore? La scelta migliore è funzione dell’effetto creativo che si vuole ottenere, se si vuole congelare l’azione di una partita di tennis si sceglieranno tempi di scatto brevissimi, dell’ordine di 1/500 o 1/1000; se al contrario si vuole rendere il dinamismo di un azione o trasmettere il movimento si opterà per tempi di scatto lunghi, sotto 1/30. Anche i diaframmi permettono di isolare il soggetto dallo sfondo (che risulta fuori fuoco) se si utilizzano piccoli valori f, o al contrario mantenere nitidi tutti i piani dell’immagine usando grandi valori f. La scelta è quindi da effettuarsi sulla base del soggetto. Pagina 5 - La latitudine di posa Sia la pellicola che il sensore hanno delle limitazioni nel registrare tutte le variazioni luminose presenti in una scena, dall’ombra più scura al bianco più chiaro, si dice che hanno una limitata latitudine di posa. Partendo dalla regola del 16 si possono dividere le condizioni luminose che vanno dal pieno sole alla luce naturale di una stanza in dieci passi o, come detto precedentemente in 10 stop, certi di rappresentare il 95% delle condizioni di scatto che potrebbero capitare;
Imparare a conoscere la luminosità dei propri obiettivi è molto importante, con l’avvento delle reflex digitali è facile lasciarsi impigrire dalla presenza del monitor lcd e prestare poca attenzione ai dati di scatto, tanto si può vedere subito il risultato! Questa è una grande comodità ed utilità che non viene messa in dubbio ma se davvero si vuole imparare a scrivere con la luce bisogna avere pazienza e voglia di buttare nel cestino tanti scatti. Si dovrebbe essere in grado di guardare il soggetto e senza usare l’esposimetro sapere già come impostare la foto, fate la prova, può diventare anche un gioco divertente e di certo aumenterà la vostra sensibilità. Fatto questo discorso sulla latitudine di posa, si può meglio comprendere come l'esposimetro effettui una valutazione oggettiva della scena, potremmo dire che non sa cosa si stia fotografando e si limiti a misurare la luce media che percepisce come se questa fosse quella riflessa da un soggetto grigio neutro, ovvero il 18% della luce incidente. Il sistema esposimetrico delle moderne reflex si chiama TTL ovvero Through The Lens perché effettua appunto questa misurazione attraverso le lenti dell’obiettivo. Nella pratica alcuni aspetti della misurazione esposimetrica cambiano poiché:
Pagina 6 - Il controluce e i tempi di sicurezza Capita spesso che il software di elaborazione non riesca comunque a gestire in maniera ottimale ciò che si propone all'esposimetro, una delle condizioni più comuni che può trarre in inganno è il controluce: dovendo fotografare un soggetto su sfondo chiaro, l'esposimetro darà maggior peso alle alte luci provocando una sottoesposizione del soggetto. Per far fronte a questo inconveniente il fotografo accorto saprà sovresporre volutamente di uno o due stop rendendo visibile il soggetto altrimenti troppo scuro. Anche il caso di soggetto chiaro su sfondo scuro presenta lo stesso problema invertito; in questo caso, per non bruciare il soggetto, si sottoesporrà adeguatamente. Questo succede perché l’esposimetro tratta tutte le superfici riconducendole al 18% di riflettanza quando invece, un muro bianco riflette in realtà il 37% della luce che lo colpisce ed un cavallo nero ne riflette in realtà il 9%. Di quanto vada effettuata la compensazione dell'esposizione è una questione di fotocamera, obiettivo e situazione luminosa, sarà quindi l'esperienza e la confidenza con la vostra attrezzatura a guidarvi.
Notate come il cielo abbia perso la propria tonalità azzurra a causa della sovraesposizione;Avendo accennato alle modalità di misurazione dell'esposimetro, se ne esemplificheranno le tre più comuni:
L’ultima parola è conveniente lasciarla ad una accortezza che a molti sembrerà banale ma che in realtà non lo è, ovvero i tempi di scatto di sicurezza; non tutti i tempi di scatto a nostra disposizione permettono di ottenere foto nitide, prive di mosso o micromosso. Questo è dovuto al fatto che sia il fotografo, sia la meccanica della fotocamera, trasmettono delle vibrazioni alla macchina che vengono registrate sul sensore e che pregiudicano la qualità dello scatto. In generale si può affermare che il tempo minimo di sicurezza per evitare il micromosso è pari alla lunghezza focale dell’obbiettivo che si sta utilizzando; con i teleobbiettivi sarebbe bene dimezzare questo valore. Esempio: se si scatta con un 50 mm, 1/60 di secondo è un tempo di sicurezza che con la pratica può scendere fino ad 1/30 e se si è bravi ad 1/15. Al di sotto di 1/15 di secondo è impensabile scattare a mano libera ed ottenere una foto nitida. Se si usa un teleobbiettivo ad esempio da 300 mm, utilizzare 1/300 di secondo potrebbe già non essere sufficiente; per buona pace della nitidezza è meglio affidarsi ad 1/600 o a tempi inferiori. In ogni caso, l’uso del cavalletto è certamente di aiuto anche se spesso è scomodo e riduce la liberta di movimento. Tutto ciò fa capire la ricchezza tecnica e la sensibilità che sono racchiusi in uno scatto fotografico, due aspetti che il fotografo sa abbracciare contemporaneamente per ottenere il risultato voluto. Anche questa volta la parola d’ordine è sperimentare, sperimentare, sperimentare! Buon divertimento! |
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